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Il decreto sulla pesca? Era un pesce d'aprile

SABATO, 10 APRILE 2004

 
Pagina 9 - Regione
 
di Renzo Mazzaro
 
Il decreto sulla pesca? Era un pesce d’aprile
 
Sospeso (solo temporaneamente) il divieto entrato in vigore il primo del mese
 
 
 
Il sottosegretario Paolo Scarpa spiega com’è nato l’equivoco. Ma resta l’imbarazzo sulle Tegnùe
 

 VENEZIA. Questa è la storia di un pesce d’aprile. Il giorno 1 la Gazzetta Ufficiale n. 77 ha pubblicato il decreto 16 marzo 2004 che istituiva una zona di tutela biologica davanti a Chioggia denominata «Area Tenue». Dimensioni: 160 kmq, ampiezza misurata da Massimo Ponti, ricercatore dell’università di Bologna e collaboratore dell’Associazione Tegnùe (si noti la diversa grafia) di cui è presidente Piero Mescalchin. Area di tutela biologica significa che non si può pescare a strascico. C’è stata la sollevazione immediata dei pescatori chioggiotti. Contraccolpo altrettanto immediato: l’8 aprile il sottosegretario Paolo Scarpa ha «sospeso temporaneamente» il decreto. Il governo ha scherzato? Non del tutto, come di vede dalla seguente intervista.
 Ma prima bisogna fare due premesse: 1) il decreto 16 marzo ha istituito aree di tutela biologica in tutto l’Adriatico; una è al largo di Ravenna, talmente al largo che finisce sopra la Croazia perché le coordinate geografiche sono sbagliate 2 gradi (errore rilevato da Massimo Ponti; ogni grado corriponde a 250 chilometri). 2) Davanti a Chioggia esiste già una zona di tutela biologica, istituita il 5 agosto 2002 con decreto pubblicato in G.U. n. 193 del 19.8.2002, chiamata Tegnùe (si noti sempre la grafia), riconosciuta in un progetto di valorizzazione regionale affidato dalla giunta Galan all’Associazione Tegnùe di Chioggia-onlus, presieduta dal Piero Mescalchin di cui sopra. Questa zona è spezzettata in 4 aree diverse, ha una superficie totale di 16 kmq, nessuno si sogna di andarci a pescare sopra perché le reti resterebbero impigliate sul fondale roccioso (da qui il nome «tegnùe», reti «trattenute» sul fondo). In vent’anni di immersioni per recuperare le reti dei pescatori, Mescalchin ha censito qualcosa come 3000 tegnùe. Tutto il fondale sabbioso dell’Adriatico ne è tempestato. E si chiede: perché non spezzettare l’area di tutela biologica, se proprio bisogna istituirla?
 Chiediamo nel frattempo a Paolo Scarpa: com’è nato questo equivoco?
 
«Si deve partire dal fermo pesca 2003. Solo noi italiani lo facciamo in questo modo. Per l’Unione europea sono aiuti di Stato, che prevedono sanzioni. Io ho ereditato 5 infrazioni da chi mi ha preceduto, con relative procedure, che abbiamo pagato. Vorrei evitare di continuare su questa linea, anche perché trattare con il commissario Franz Fischler non è semplice. Per il fermo pesca 2004-05-06 l’Unione ci obbliga a istituire aree di tutela biologica, per favorire il ripopolamento. La Direzione della pesca, che dipende da me, ha chiesto un parere al Comitato scientifico. E gli scienziati hanno proposto la delimitazione che poi è uscita».
 I pescatori non sapevano nulla?
 
«Al contrario. Era già cominciato un ragionamento con le loro associazioni, sia nazionali che locali, prima di istituire le aree di tutela, da Miramare alla Puglia».
 Poi a Chioggia si sono ribellati...
 
«Ci sono stati dei problemi, evidenziatici dalle associazioni di pescatori, i cui pesidenti mi hanno telefonato. Pur in assenza del direttore generale del ministero che era a Dublino, ho fatto preparare un decreto di sospensione e l’ho firmato giovedì alle 14».
 Lei parla di sospensione temporanea.
 
«Eh già. I pescatori devono sapere che, alla fine, un’area di tutela biologica deve essere fatta, se vogliono continuare con il fermo pesca. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Dalla settimana prossima dovremo riprendere la trattativa. Faremo una commissione consultiva locale e andremo in cerca delle coordinate geografiche che possano essere accettate dai pescatori».
 Si tratta di bloccare la pesca a strascico entro le 3 miglia?
 
«Non solo, anche nelle are di ripopolamento disseminate dal comitato scientifico. Ci sono alcune specie ittiche che sono in pericoloso calo. Bisogna intervenire nell’interesse dei pescatori, se non vogliono pescare acqua in un futuro prossimo. E’ un problema di equilibrio».
 Soltanto in Italia peschiamo a strascico entro le 3 miglia: è così?
 
«E’ il problema della picola pesca costiera. Ma abbiamo un piano di riconversione, per eliminare tutta una serie di imbarcazioni, con premi per l’arresto definitivo. Io ho ereditato 16.800 imbarcazioni in Italia, di cui 16.000 piccole o piccolissime. E per lo più anche vecchissime. Le stiamo ammodernando e parecchie le stiamo facendo chiudere. Ma non si può mandare in strada la gente».


 
   
 
 
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