VENEZIA. Dopo tre anni di lavori
e diciotto mesi di monitoraggio, sono stati presentati ieri nel corso della
conferenza stampa finale, i risultati del progetto Life-Ghost, finanziato dalla
Commissione Europea e avviato nel 2013. Nato dal parternariato tra l'Istituto
di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche, coordinatore del
progetto, l'Università Idi Architettura, la Società Laguna Project, unico
partner privato Life-Ghost, ha avuto l'obiettivo di fornire una valutazione
della presenza e degli impatti di reti e attrezzi da pesca persi o abbandonati
sui fondali marini lungo la costa veneta, in particolare sulle aree rocciose,
le "tegnùe". Substrati rocciosi disseminati nel tratto di mare tra
Trieste e Chioggia, costituiscono vere e proprie riserve naturali per la
riproduzione e l'insediamento di tartarughe, mammiferi marini e molluschi.
Nel corso dei tre anni
di studio è stata portata avanti una mappatura dei fondali di 15 aree, con
indagini acustiche e rilievi subacquei, per un'area complessiva di 20
chilometri quadrati al largo del litorale veneziano, entro la quale il 50 per
cento delle “tegnùe” analizzate è risultato interessato dalla presenza di
attrezzi da pesca abbandonati e altri materiali inquinanti. Le zone intaccate
sono soprattutto quelle localizzate a tre miglia dalla costa, le più battute
dai pescherecci. Nelle aree monitorate sono stati rilevati e mappati 345
attrezzi da pesca per un peso complessivo di oltre 500 chili. Rifiuti come
nasse per seppie e crostacei, tremagli, reti volanti, reti con cassa, rifiuti
da acquacoltura come le numerosissime calze per mitili, corpi morti, esche
artificiali e cordame. In seguito all'operazione di monitoraggio, si è
proceduto alla rimozione e allo studio dei materiali rinvenuti in vista di un
possibile riciclaggio. Nei 18 mesi di osservazioni subacquee in 5 aree campione
scelte, è stata monitorata l'evoluzione della comunità in termini di
biodiversità e per la prima volta in Italia è stata inoltre condotta un'analisi
economico-statistica dei benefici legati alla sostenibilità delle aree di
“tegnùa”. Luisa da Ros, primo ricercatore Ismare-Cnr e responsabile del
coordinamento del progetto ha affermato: «Il progetto ha contribuito anche a
dimostrare che la rimozione delle reti da fondali marini rocciosi, se attuata
secondo criteri sostenibili, determina un miglioramento della biodiversità
locale.
Molte azioni progettuali
sono state rivolte anche alla diffusione delle conoscenze presso il pubblico,
attraverso interventi comunicativi di vario genere mirati ad aumentarne la
consapevolezza verso queste tematiche». Tanti i risultati ottenuti, a partire
dalla stesura di un manuale tecnico per la gestione delle reti fantasma, la
proposta di un regolamento per l'utilizzo, il recupero e il riciclaggio dei rifiuti,
e le indicazioni tecniche già confluite in un documento a supporto della
mozione presentata al Consiglio regionale da Erika Baldin (M5S) nell’agosto
scorso e diretta alle autorità locali.
Valeria Sforzini
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