VENEZIA. I
fondali italiani del Mar Adriatico settentrionale non sono costituiti solo da
distese di sabbia e detriti, come comunemente si immagina ma da formazioni
rocciose create dai "canali" dell'epoca glaciale, oltre 20 mila anni
fa.
Nella parte nord-occidentale dell'Adriatico, al largo di
Chioggia, sorgono conformazioni
rocciose sommerse alla profondità di oltre 20 metri
che ospitano
ecosistemi acquatici unici. Chiamate in dialetto veneto
'tegnùe', perché trattengono le reti dei pescatori, sono composte da organismi
incrostanti che conferiscono a queste bio-costruzioni un aspetto simile alle barriere
coralline che si elevano dal fondale limoso-sabbioso.
Uno studio
coordinato dall’Istituto di scienze marine del Consiglio
nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) ha indagato l’origine di questi
sorprendenti habitat marini. La ricerca, che ha coinvolto anche Università di
Padova, Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs),
Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e Consejo
Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas (Conicet) in Argentina, è
stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports.
“Queste formazioni
coralligene sono disseminate nell’Adriatico nord-occidentale e costituiscono
una 'anomalia
geologica rocciosa' rispetto al fondale detritico di
sabbie e limi sul quale poggiano”, spiega Luigi Tosi, primo autore
dell’articolo e ricercatore Ismar-Cnr. “I modelli genetici finora formulati per
spiegare la loro origine non erano soddisfacenti, quindi abbiamo messo in campo
competenze multidisciplinari”.
Il gruppo di ricerca composto da geologi, oceanografi,
geofisici e biologi ha in primo luogo eseguito i rilievi geofisici per
l’analisi e la mappatura morfo-batimetrica del fondale e del sottosuolo. “Sulla
base della nuova cartografia i ricercatori Ismar-Cnr hanno eseguito oltre 200
immersioni, spesso in condizioni di scarsa visibilità, con osservazioni
geomorfologiche e geologiche, campionando rocce e sedimenti sciolti”, continua
Andrea Bergamasco, oceanografo Ismar-Cnr, responsabile delle attività
subacquee. “Sono stati inoltre installati sui fondali dei particolari pozzi per
l’analisi dell’acqua sottomarina”.
“La ricerca è proseguita in laboratorio con le analisi
isotopiche, paleoambientali e di microscopia elettronica e con l’integrazione
delle informazioni acquisite”, spiega Sandra Donnici, geologa Ismar-Cnr. “Ne è
risultato che le tegnùe si sono sviluppate lungo le strutture morfologiche allungate e
sinuose attribuite ad antichi canali fluviali, presenti nella pianura, durante
l’ultimo periodo glaciale, circa
20.000 anni fa”.
Un campione roccioso si è rivelato in particolare
fondamentale. “Si tratta di un
lastrone di sabbia cementata con inglobati gusci di
molluschi che hanno consentito di determinare età e caratteristiche del
paleoambiente al momento della sua cementazione”, conclude Tosi. “Una sorta di 'Stele di Rosetta' che
ha permesso di giungere a una nuova visione sull’origine di queste formazioni
coralligene nel golfo di Venezia. Le analisi radiometriche al carbonio 14 hanno
consentito di datare a circa 9.000 anni fa l’arrivo del mare in questa parte
dell’antica pianura pleistocenica e a 7.000 anni fa la sua cementazione, sulla
quale i primi organismi biocostruttori hanno attecchito”.
Il lavoro pubblicato è stato possibile grazie al
progetto 'Tegnùe' finanziato dal Comune di Chioggia su Fondi Regione del Veneto
(responsabili Sandra Donnici e Paolo Montagna) e al Progetto Bandiera Ritmare
Cnr finanziato dal Miur (responsabile Luigi Tosi).
Intanto però le “tegnùe” stanno scomparendo: i motori
troppo potenti dei pescherecci e la pesca con i ramponi, hanno infatti
distrutto quelle più piccole, mantenendo solo quelle più grandi,
quantitativamente inferiori. Al largo di Chioggia alcune sono preservate,
altrove, come davanti a Punta Sabbioni, non lo sono.
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